144 pagine
29 illustrazioni
28 tavole in b/n
Le dirò con due parole...
a cura di Luca Rossetto Casel
Un «puro, innocente fiore» inaridito da un anello
di Federico Fornoni
Paesaggi alpini: La sonnambula e dintorni
di Marco Leo
Muta e deserta... restò la scena.
Di un Ernani mancato e dintorni
a cura di Fulvio Stefano Lo Presti
Un ritratto
di Alberto Bosco
Oltre l’idillio.
Intervista a Mauro Avogadro
a cura di Susanna Franchi
Sogno romantico e nitore classico.
Sonnambula secondo Renato Balsadonna
a cura di Valentina Crosetto
Argomento - Argument - Synopsis - Handlung
Struttura dell’opera e organico strumentale
a cura di Enrico M. Ferrando
Le prime rappresentazioni
Libretto
Le dirò con due parole...
a cura di Luca Rossetto Casel
Per lo spettatore d’oggi, confrontarsi con La sonnambula può apparire un po’ come assistere a una pellicola hollywoodiana degli anni d’oro: rassicurante (forse perfino buffa) nel sovraccarico del technicolor, delle voci troppo belle per essere vere, del tono teatrale della recitazione. Che poi la realtà portata sullo schermo di rassicurante abbia, magari, ben poco, è tutt’altro paio di maniche: l’impressione, a causa della familiarità con un linguaggio – anzi: i linguaggi, cinematografico e belcantistico – che sembra esserci entrato nel dna, rimane quella di un ritorno a casa.
Eppure, La sonnambula è un titolo tutt’altro che aproblematico. Anzi: a grattare sotto la superficie della consuetudine, sia questa vera o presunta, il melodramma di Romani e Bellini rivela al proprio interno una complessità d’intenti e di tematiche che – specie a orecchie avvezze alle più immediate temperie verdiane e post-verdiane – appare in parte dissimulata dalla politezza formale prodigiosa della partitura...
Un «puro, innocente fiore» inaridito da un anello
di Federico Fornoni
La sonnambula si inserisce a buon diritto nella tradizione larmoyante e sentimentale di derivazione semiseria che ha nella Cecchina di Piccinni e nella Nina di Paisiello i capisaldi del genere. Il successo di Nina contribuì a diffondere uno dei topoi più celebrati del melodramma romantico italiano: la pazzia femminile, che, altrimenti declinata, fornisce il titolo all’opera di Romani e Bellini1. È lo stesso compositore a esplicitare un accostamento affatto evidente in una famosa lettera nella quale parla di un altro suo capolavoro, I puritani:
Ti giuro che se il libretto non sarà capace di profonde sensazioni, è pieno però d’effetti teatrali pel colorito, e posso dire essere il fondo del genere come la Sonnambula o la Nina di Paisiello, aggiunto a del militare robusto ed a qualche cosa di severo puritano2.
Come per la quasi totalità del corpus operistico, anche per La sonnambula è inoltre possibile ripercorrere la filiazione del soggetto...
Paesaggi alpini: La sonnambula e dintorni
di Marco Leo
Il fascino per la montagna, e per le Alpi in particolare1, dopo aver lasciato sporadiche tracce nella letteratura precedente, si manifestò con nuova forza nel corso del Settecento, come dimostrano due testi che ebbero all’epoca grande diffusione: il poemetto Die Alpen di Albrecht von Haller (1729) e La Nouvelle Héloïse di Rousseau (1761). L’ambiente alpino, per le sue caratteristiche, rispondeva infatti bene ai nuovi canoni estetici: da un lato, al gusto per il paesaggio pittoresco; dall’altro, al fascino per il “sublime”, teorizzato da Edmund Burke nella sua Philosophical Enquiry into the Origin of our Ideas of the Sublime and Beautiful (1757)...
Muta e deserta... restò la scena.
Di un Ernani mancato e dintorni
di Fulvio Stefano Lo Presti
Un ventennio fa ebbi l’occasione di assistere a Bruxelles, nell’elegante sala all’italiana del Théâtre Royal du Parc, a una delle trenta rappresentazioni previste di Hernani di Victor Hugo, recitato da una troupe anagraficamente fresca quanto spavalda di fronte a un pubblico più o meno equamente ripartito tra spettatori giovani e meno giovani. Faceva spicco tra i primi un folto e vivace drappello di teenagers. Già in precedenza ero stato spettatore altrove di drammi di Hugo – i cui allestimenti in Francia e in Belgio non costituiscono avvenimenti sporadici – ricavandone ogni volta la netta sensazione che la musa teatrale del poeta di Besançon, pur nel suo “anacronistico” ammanto di alessandrini a rima baciata2, pur grondante retorica romantica, possedesse ancora un’invidiabile freschezza e che questi “melodrammi” senza musica3 riuscissero ancora a cattivare e coinvolgere un pubblico dei nostri giorni...
Un ritratto
di Alberto Bosco
Giocando in modo un po’ astratto con la storia della musica ci si può divertire a trovare dei parallelismi tra i quattro alfieri dell’opera romantica italiana e i quattro del classicismo viennese. I più facili sono Rossini e Verdi: il primo occupa lo stesso ruolo di Haydn, come fondatore delle forme e dei caratteri di un nuovo stile, il secondo quello di Beethoven, come colui che portò alle massime conseguenze le tendenze drammatiche ed espressive latenti in quei codici ereditati, assecondando così le esigenze crescenti del grande pubblico. Mozart e Donizetti, poi, possono andare insieme: furono due compositori accomunati non solo da un carattere amabile e generoso, ma soprattutto da una estrema versatilità di scrittura, essendo stati, ognuno a proprio modo, maestri nel campo strumentale come in quello operistico, e in quest’ultimo tanto nel registro buffo quanto in quello serio. Bellini, infine, per la sua arte di sostenere il canto e di ipnotizzare con il suo lirismo immacolato, ricorda Schubert che sapeva distillare l’esperienza in melodie sempre cangianti e le dosava con passo lento, tendente all’infinito...
Oltre l’idillio.
Intervista a Mauro Avogadro
a cura di Susanna Franchi
C’è molta musica nella vita di Mauro Avogadro. Certo, lui è noto per la sua incredibile attività di attore (da Spettri di Ibsen a Gli ultimi giorni dell’umanità di Kraus), di insegnante (ha diretto la Scuola del Teatro Stabile di Torino, insegna interpretazione alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano), di regista (Copenhagen di Frayn con Orsini, Popolizio e Lojodice), ma se si parla di opera lirica bisogna innanzitutto raccontare che da bambino cantava in un coro di voci bianche e a nove anni, nel 1960, faceva il monello («Noi marciamo, alta la testa, come piccoli soldati» – rigorosamente in italiano) nella Carmen cantata da Fedora Barbieri al Teatro Nuovo di Torino. Ha poi fatto il ballerino e nel 1971, sempre al Nuovo, danzava in Confessione di Sandro Fuga con Magda Olivero come protagonista.
Che ricordi ha del suo debutto come regista d’opera?
Al Teatro Regio mi legano dei ricordi sentimentali: negli anni Novanta ho curato una serie di produzioni liriche grazie alla stima di Carlo Majer, allora direttore artistico del teatro. Il nostro è stato un incontro felice, basato su un’intensa complicità artistica...
Sogno romantico e nitore classico.
Sonnambula secondo Renato Balsadonna
a cura Valentina Crosetto
Assente dalla scena torinese per oltre vent’anni, La sonnambula di Vincenzo Bellini torna ad entusiasmare il pubblico del Teatro Regio con la sua delicata vena romantica. Sul podio, al suo debutto con l’Orchestra e il Coro del Teatro, Renato Balsadonna, a lungo attivo fuori dall’Italia come Maestro del coro in prestigiosi teatri come il Théâtre Royal de la Monnaie di Bruxelles e la Royal Opera House di Londra, e ormai da tempo lanciato in una carriera da direttore che incontra consensi in tutto il mondo.
Bellini fu il primo compositore della sua epoca con una profonda coscienza delle proprie qualità artistiche. Come definisce la sua personalità?
Bellini prese da Rossini tutto quello che riteneva importante per il proprio stile, le forme canoniche come i consigli pratici...
Argomento - Argument - Synopsis - Handlung
Struttura dell’opera e organico strumentale
a cura di Enrico M. Ferrando
La sonnambula è ascritta al genere “semiserio”. Il termine, tra Settecento e Ottocento, indicava un’opera nella quale una vicenda patetica veniva messa in scena attraverso schemi drammaturgici e ruoli vocali propri dell’opera buffa: un esempio tipico è Agnese di Paer, che come La sonnambula è inclusa nel cartellone 2018/2019 del Teatro Regio. In effetti il melodramma romantico italiano definisce le proprie caratteristiche proprio nella sintesi di tratti formali di entrambe le tradizioni – “seria” e “buffa”: così il termine “semiserio”, all’epoca della Sonnambula, definiva essenzialmente un’opera a lieto fine, una commedia sentimentale ormai affrancata dalle situazioni più tipiche dell’opera comica. È significativo, in questo senso, che i recitativi, nella Sonnambula, per quanto ancora organizzati secondo gli schemi del vecchio recitativo “secco”, siano accompagnati dagli archi e non dallo strumento a tastiera, secondo l’antica prassi che – scomparsa nelle opere serie dopo il secondo decennio dell’Ottocento – sopravviveva nelle sempre più rare opere comiche...